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RIFLESSIONI / Caregiver... basta la parola? In ambito psichiatrico non si sa

RIFLESSIONI / Caregiver... basta la parola? In ambito psichiatrico non si sa

I familiari di persone adulte con patologie psichiatriche, coabitanti o meno, pur avendo un carico di cura e di stress molto pesante e prolungato solitamente non vengono considerati tali. Invece servirebbero gruppi di sostegno ai caregiver in tutti i Centri di Salute Mentale

di Lucia Luminasi, Il Ventaglio di Orav Aps, vice-presidente CUFO DSM-DP Bologna

BOLOGNA – Caregiver è l’ennesima parola di derivazione anglosassone entrata recentemente nell’ambito del welfare e della non autosufficienza. La traduzione letterale, “chi dà cura”, apparentemente è molto chiara, ma all’atto pratico rimane qualche dubbio: nella sostanza chi è il caregiver? Che cosa fa, per quanto tempo, a quali condizioni, a quale titolo, con quale responsabilità, con quale formazione, a quale prezzo (in senso proprio e figurato)? Ci sono i caregiver professionali retribuiti (badanti, prestatori di servizi alla persona, operatori del sanitario e del sociale e magari ci mettiamo anche gli Esp… o no?) e i caregiver familiari. In particolare, riguardo a questi ultimi, dal momento che entrano nella normativa come soggetti di diritto, si rende necessaria una definizione di ruolo più precisa.

Questa figura, all’art. 1, comma 255, della legge 205/2017, è così definita: “la persona che assiste e si prende cura del coniuge, dell'altra parte dell'unione civile tra persone dello stesso sesso o del convivente di fatto, di un familiare o di un affine entro il secondo grado che, a causa di malattia, infermità o disabilità, anche croniche o degenerative, non sia autosufficiente e in grado di prendersi cura di sé, sia riconosciuto invalido in quanto bisognoso di assistenza globale e continua di lunga durata, o sia titolare di indennità di accompagnamento”. Come si vede si tratta di una casistica piuttosto ampia, pur con alcuni paletti discutibili (perché ad esempio limitare al secondo grado di parentela? E perché escludere rapporti comunque solidi di tipo amicale o di vicinato solidale?).

Passando però all’applicazione concreta per la distribuzione di fondi possono sorgere controversie, perché, come abbiamo visto al Tavolo sui Caregiver organizzato dal Cufo (Comitato utenti familiari e operatori della salute mentale) e dall’Istituzione Minguzzi di Bologna (per adesioni Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.), i parametri stabiliti dalla variegata normativa vigente non sono univoci. La definizione di caregiver data dalla Regione Emilia-Romagna, ad esempio, risulta essere più ampia ed elastica di quella stabilita dalle leggi nazionali, e ciò potrebbe portare problemi all’atto della rendicontazione finale.

Fra le situazioni dubbie vale la pena di segnalare quella dei familiari di persone adulte con patologie psichiatriche, coabitanti o meno, che pur avendo un carico di cura e di stress molto pesante e prolungato, solitamente non vengono considerati – o addirittura non si percepiscono essi stessi – come caregiver e quindi come possibili fruitori di forme di sostegno, a meno che i loro cari non abbiano un deficit intellettivo o una certificazione di disabilità al 100%, cosa tutt’altro che generalizzata. Qui, oltre alla probabile disinformazione sulle risorse e sulle opportunità offerte dalle istituzioni e dal territorio, entrano in gioco alcuni fattori molto tipici: il rapporto con la persona con patologia, che in quanto adulta può non accettare interferenze, anche nel caso in cui poi non sappia gestirsi adeguatamente; il timore dello stigma, o l’autostigma, che fa sì che molti preferiscano evitare di rendere pubblico il loro problema; il ripiegamento all’interno del nucleo familiare ristretto, per impoverimento progressivo dei rapporti sociali; l’invecchiamento del caregiver, molto spesso unico genitore superstite, rassegnato a una vita in simbiosi a causa della cronicità.

C’è anche da considerare il fatto che, mentre il rischio povertà riguarda purtroppo la maggior parte delle persone con patologia psichiatrica che vivono sole, il problema per i familiari è complesso e non si esaurisce necessariamente in bisogni di tipo economico, più o meno risolvibili mediante sussidi: tutte le famiglie, anche quelle abbienti, avrebbero necessità di sostegno psicologico e di momenti di sollievo, un aiuto che generalmente non viene fornito a sufficienza dai servizi e che invece sarebbe un valore aggiunto anche per la recovery dei loro cari.

La diagnosi di disturbi psichici avviene generalmente in età giovanile o adulta o, nel caso di precoci patologie senili, ancora più avanti. In famiglia è una specie di lutto a cui non si è preparati: tutti gli equilibri si spezzano e ci si trova di fronte a un mondo sconosciuto che spaventa. L’emergenza non dà il tempo e la calma per informarsi, capire, farsi una ragione e scegliere fra i possibili percorsi. Poi si viene a creare un equilibrio precario, una quotidianità di difficile gestione, tra gli alti e bassi di una patologia dalla durata probabilmente infinita, e grande è la preoccupazione per il futuro.

Non bisogna dimenticare il fatto che i familiari costretti a farsi caregiver di un loro caro problematico non sono necessariamente genitori, ma anche fratelli, coniugi, figli anche giovanissimi, interi nuclei familiari la cui salute mentale viene messa a dura prova. Per spezzare l’isolamento e il senso di solitudine, sarebbe opportuno rendere sistematici dei momenti di incontro in gruppi di pari o misti, meglio se facilitati da psicologi di comunità e/o da Esp, ma la pratica non è ancora sufficientemente diffusa. Laddove è stata portata avanti e valorizzata, invece, non solo ha dato ottimi risultati nel sostegno alle famiglie e nella recovery degli utenti, ma ha innescato processi virtuosi di partecipazione diretta e di impegno civico. Sono comunque realtà che fanno presto a spegnersi, se non vengono costantemente incoraggiate e incentivate.

Grazie a un invito da parte del Dipartimento di Salute Mentale-Dipendenze Patologiche di Bologna a presentare “Manifestazione di interesse per lo sviluppo di progetti finalizzati al sostegno dei caregiver che assistono i loro familiari al domicilio mediante azioni di Psicoeducazione e Sollievo - Area Salute Mentale”, nel 2022 - per la prima volta - anche le associazioni del Cufo afferenti alla Psichiatria Adulti (AitSaM, Il Ventaglio di Orav, Progetto Itaca Bologna) hanno presentato alcuni progetti a favore dei familiari caregiver di persone con disagio grave e prolungato. Tutti i progetti hanno avuto grande seguito e successo, ma purtroppo non è stato previsto, almeno finora, un rinnovo di finanziamenti con tale finalità.

Nel “Piano programma per le azioni di partecipazione, equità e umanizzazione delle cure dell’Ausl di Bologna” per il triennio 2022-2024, però, l’obiettivo di “riconoscimento, valorizzazione e azioni a sostegno dei caregiver” è addirittura il primo. In questa fase, quindi, la prospettiva di veder nascere gruppi per il sostegno ai caregiver in tutti i Centri di Salute Mentale è abbastanza realistica, anche perché è stata inserita – per iniziativa dipartimentale – come standard di eccellenza nel percorso di Accreditation Canada (organizzazione senza scopo di lucro che si occupa di accreditamento internazionale di servizi socio-sanitari), attualmente in fase di esecuzione. Le principali difficoltà sorgono dal fatto che a causa della cronica carenza di personale gli operatori hanno scarso spazio di manovra, ma la forza delle associazioni potrebbe portare una marcia in più. A mio parere, se tutti crediamo nell’importanza di sostenere chi sostiene, questo è un treno da non perdere.

Parliamone Insieme
il sito della Consulta regionale per la Salute Mentale dell’Emilia-Romagna


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Si ringrazia la Regione Emilia-Romagna

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