Intervista all'autore Renzo De Stefani. Edito da Erickson, il volume approfondisce un modus operandi nato una ventina di anni fa nel Servizio di Salute Mentale di Trento. Il fulcro sono gli utenti e i familiari, protagonisti alla pari nel cammino di cura e nella co-progettazione e co-produzione delle attività
di Mirko Melandri
IMOLA - Un manuale di salute mentale diverso dal solito: “La psichiatria del fareassieme”, scritto dallo psichiatra Renzo De Stefani ed edito da Erickson. Nessun capitolo sulla psicopatologia, sui principali disturbi psichici, sui trattamenti maggiormente utilizzati. Ciò che si vuole approfondire sono i valori e le pratiche che un buon operatore della salute mentale deve, giornalmente, mettere in pratica per fare in modo che i servizi funzionino nel migliore dei modi. Tutti aspetti che derivano dall’approccio del “fareassieme”, un modus operandi nato una ventina di anni fa nel Servizio di Salute Mentale di Trento, diretto dall'ideatore e promotore Renzo De Stefani. Il fulcro del “fareassieme”, soprattutto nei fatti, sono gli utenti e i familiari, protagonisti alla pari nel cammino di cura e nella co-progettazione e co-produzione di tutte le attività. Una metodologia dove si impara a pensare e lavorare insieme, valorizzando il sapere esperienziale e le risorse di tutti in un clima di amicizia pieno di affettività. Con esempi e testimonianze che rendono concreta la teoria, il lettore vedrà il “fareassieme” abbracciare il mondo della recovery, fondamento della buona salute mentale internazionale, inseparabile compagno di strada. Il Servizio di Salute Mentale di Trento è diventato così uno dei riferimenti più noti della salute mentale di comunità.
Dottor De Stefani, come accolgono gli utenti questo modo di fareassieme?
«Il fareassieme è nato a Trento nel 2000 nella realtà di un Servizio di Salute Mentale all’epoca estremamente ‘disastrato’. Per porvi rimedio pensammo che la strada giusta era quella di coinvolgere utenti e familiari, a partire da un tavolo di concertazione in cui questi potevano portare le loro richieste per migliorare le prestazioni sanitarie. Fu immediatamente un grande successo. Utenti e familiari si sentivano ascoltati e soprattutto si rendevano concretamente conto che le loro richieste trovavano realizzazione pratica. L’accoglienza fu quindi decisamente buona. Cambiò radicalmente il contesto e iniziò la stagione in cui utenti, familiari e operatori impararono a pensare e a lavorare assieme. Quello che oggi chiamiamo co-progettazione e co-produzione, fondamentali per fare buona salute mentale».
Ne traggono maggior beneficio rispetto a un metodo tradizionale?
«Nella nostra esperienza trentina, e anche in altre esperienze simili in altre realtà italiane, assolutamente sì. Del resto è la scoperta dell’acqua calda! È inevitabile che quando le persone condividono i rispettivi saperi e si confrontano alla pari su quanto mettere in campo i risultati non possono che essere vincenti. Naturalmente bisogna credere che il sapere professionale degli operatori vale quanto il sapere esperienziale di utenti e familiari e che il contaminarli genera laboratori straordinari in cui tutto diventa possibile. E a Trento nacque un gruppo qualità, composto da utenti, operatori e familiari, che misurò tutte le varie iniziative co-progettate e co-prodotte. Scoprendo che i risultati erano decisamente migliori rispetto a quanto si otteneva con gli approcci tradizionali».
Come si arriva a mettere in pratica questo tipo di psichiatria?
«È molto semplice. Occorre anzitutto crederci e mettere in campo iniziative che siano coerenti a quei due semplici principi: il riconoscimento dei saperi di tutti e la co-progettazione e la co-produzione delle pratiche del Servizio di Salute Mentale. Come del resto ci chiede l’Organizzazione mondiale della Sanità. Il tutto restituendo agli utenti la centralità che devono avere nei loro percorsi, riprendendosi il volante della propria vita, assumendosi quella responsabilità che troppo spesso gli approcci medici tradizionali negano loro. E assumersi responsabilità è la migliore garanzia per ritrovare posto e dignità nella comunità da cui spesso gli utenti sono messi pesantemente ai margini. In una parola recovery».
Cos'è in concreto il fareassieme?
«Fareassieme significa coinvolgere nei servizi psichiatrici e il più possibile in modo paritario, utenti, familiari e operatori. Coinvolgerli nei percorsi di cura e in tutte le attività, nei gruppi e nelle aree di lavoro. Seguendo questo approccio, utenti, familiari e operatori imparano a pensare e a lavorare assieme, valorizzando la presenza, il sapere e le risorse di tutti, in un clima amicale e ricco di affettività. E così affrontano la malattia in una logica di squadra, che produce un cambiamento radicale del contesto in cui opera il Servizio di Salute Mentale con tutti i suoi protagonisti. Dove la condivisione paritaria dei saperi di tutti è il catalizzatore primo della “rivoluzione dolce” del fareassieme».
L'autore. Lo psichiatra Renzo De Stefani, fino al 2018 direttore del Servizio di Salute Mentale della Provincia di Trento, ha introdotto l’approccio del “fareassieme” ed è il referente nazionale del movimento “Le Parole ritrovate”, che aggrega le esperienze di “fareassieme” presenti in Italia e nel mondo. Tra le sue pubblicazioni, “Psichiatria mia bella” (Erickson, 2012) e “Le Parole ritrovate. La rivoluzione dolce del fareassieme nella salute mentale” (Erickson, 2017). Ha condotto più di 100 corsi di formazione su questa metodologia in Italia e all'estero.